35TFF – Le nostre considerazioni sul Torino Film Festival 2017

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Si è conclusa da poco la 35° edizione del Torino Film Festival e vogliamo tirare con voi qualche conclusione.

Questa è stata un’edizione di transizione ed è una sensazione che si respirava fortemente nei cinema e tra gli addetti ai lavori. Sicuramente il prossimo anno ci saranno grossi cambiamenti e scopriremo anche insieme se sarà riconfermata la direttrice Emanuela Martini che è giunta al termine del suo mandato. Grande affluenza di pubblico a tutte le ore del giorno e in tutte le sale, complice anche la mancanza di 3 schermi rispetto all’anno passato.

A livello artistico questo è stato un anno dedicato alle donne, protagoniste di moltissime pellicole, in barba a quello che dicono molto attrici lamentandosi di non avere sufficienti proposte e, spesso, presenti anche dietro la macchina da presa di parecchi film. Donna anche il regista ospite, Asia Argento che, benchè non si possa definire una regista indimenticabile, sicuramente ha mostrato un grande gusto nella scelta dei film e una eccellente conoscenza sul cinema del passato.

Il film del cuore, per noi di Universal Movies, quest’anno, è stato sicuramente A taxi driver di Hoon Jang, film coreano di grande spessore artistico, emozionante, girato splendidamente e con un senso del ritmo invidiabile.

Altre pellicole che ci hanno fatto battere il cuore sono state Beast, film in concorso che avrebbe meritato qualche premio, il divertentissimo The disaster artist diretto e interpretato da James Franco e Final portrait, con uno strepitoso Geoffrey Rush.

Stupendi, ancora, The Florida project, film di chiusura del festival, diretto da Sean Baker, Wind river, solido thriller con Jeremy Renner e Casting, film tedesco diretto da Nicolas Wackerbarth, con un cast strepitoso.

Tra le molte pellicole del passato, gli assi sono stati calati col documentario Burden of dreams, sulla difficilissima realizzazione del Fitzcarraldo di Herzog, Out of the blue, durissimo film diretto e interpretato da Dennis Hopper e l’altrettanto forte Payday.

Tra le pecore nere, i film pessimi che, purtroppo abbiamo visto, sicuramente il premio va a Kuso, film sperimentale girato in tecnica mista che mette a dura prova lo stomaco di qualsiasi spettatore e che, personalmente, ho trovato tremendo, tant’è che sono uscito dal cinema a metà della proiezione.

Altre delusioni sono state Spell Reel, inutile documentario sul cinema nella Guinea-Bissau, L’ora più buia di Joe Wright, con un Gary Oldman insopportabile, Mary Shelley che puzzava di occasione perduta, il pessimo Barrage, passato in concorso e Flames, vita di coppia della sopravvalutata Josephine Decker.

In generale la qualità delle opere è stata, come sempre, ottima e varia, per tutti i gusti, che è un po’ il punto di forza di questo festival, con una certa predominanza dei film hollywoodiani perchè, che se ne dica, gli americani col cinema ci sanno veramente fare.

Mi rimane sicuramente in testa un grosso quesito: all’apertura del Festival, nella conferenza-stampa, è stato sottolineato come, visto il budget risicato, sia stato indispensabile togliere delle cose, come il logo in piazza Castello o la disponibilità di una sala. Sono oramai alcuni anni che mi dedico al festival con un certo vigore e vedo tantissimi, numerosissimi e appassionati spettatori, sempre in quantità maggiore e mi chiedo, ma questi soldi dove finiscono se il Festival è in bolletta? Se non è sufficiente l’apporto del biglietto pagato, con cosa vanno avanti e, soprattutto, a chi giova il Festival del Cinema qui a Torino? Dove vanno a finire i soldi?

In attesa di scoprire il mistero, vi rimando alla prossima edizione del 2018, che sarà la numero 36 e vi invito a recuperare i bei film persi, ne vale la pena.


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