Recensione Cetto c’è, senzadubbiamente, il film di Antonio Albanese

Cetto c'è Senzadubbiamente Recensione

Con “Cetto c’è, senzadubbiamente” l’attore Antonio Albanese porta al cinema il terzo, e forse ultimo, capitolo della storia di Cetto La Qualunque. Questa la recensione del film.

Diretto da Giulio Manfredonia, il film è approdato al cinema lo scorso 21 novembre. Nel cast Antonio Albanese, Nicola Rignanese, Caterina Shulha, Gianfelice Imparato, e Davide Giordano.

In questa nuova avventura troviamo Cetto alle prese con affari loschi all’estero, in Germania. Qui ha messo su l’ennesima famiglia ma, a parte i buoni affari, non sembra proprio trovarsi a suo agio. Per un imprevisto si troverà a dover tornare in Italia, scoprendo che ad attenderlo c’è una notizia sorprendente.

COMMENTO

A livello registico, già dall’introduzione, si capisce che questa terza parte sarà diversa dalle prime due, in special modo dal primo film che è in sintesi il vero capolavoro della trilogia. La veste cinematografica è cambiata, l’atmosfera è quasi da cinepanettone, e tutta l’impostazione del film sembra virare verso soluzioni più commerciali. Lo stesso Cetto ha perso molto del suo carattere pungente, e le battute comiche tendono a ricadere nel già sentito o comunque in ambiti ormai triti. Gli attori secondari, soprattutto quelli di minore rilievo, non reggono il confronto con l’interprestazione offerta da quelli principali, risultando a volte persino un po’ goffi e macchinosi.

Per dare ossigeno alla storia, Albanese è costretto ad attingere ad un passato inedito di cui non è possibile trovare contraddizioni nei precedenti capitoli, ma che comunque sa molto di puro espediente narrativo. Al semi-dialetto dilagante questa volta viene preferito più spesso l’italiano anche nei dialoghi tra il protagonista e Pino, il suo fidatissimo e sottomesso braccio destro.

La satira politica, che è la ragion d’essere di tutte e tre pellicole, ovviamente è al centro, eppure anche in questo caso sembra mancare di mordente rispetto al passato. Indubbiamente – per dirla alla Cetto – la satira politica, la critica dei costumi e dei vizi della classe politica o la denuncia della superficialità dell’italiano medio non fanno mai male, anzi ben vengano film che si pongono l’obiettivo, anche attraverso la comicità, di pungolare e far riflettere lo spettatore. Il fatto è che probabilmente il personaggio, o in qualche modo la sua storia, erano forse ormai saturi e lo sforzo per trovare nuova enfasi si nota eccome.

In generale il film scorre in modo abbastanza piacevole, in molti punti è senza dubbio spassoso, ed il finale è quanto meno inaspettato. Tutto ciò però non basta a reggere il confronto con il Cetto che conosciamo, e forse è giunto il tempo che la sua storia si concluda. Come nota a margine va segnalata l’introduzione di scene parodiche de “La grande bellezza” e dei classici sulla mafia come “Il padrino

Sembra comunque opportuno dare atto ad Antonio Albanese, quale che sia la riuscita di questo film in particolare, di essere, in Italia, tra i migliori comici in attività e di aver creato un personaggio che in ogni caso rimarrà iconico. Inoltre non va sottovalutato lo spessore della sua satira politica né tantomeno la sua intelligente ironia che da sempre lo contraddistinguono.

Classificazione: 2.5 su 5.


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