Da Il cantante di jazz a La La Land – La straordinaria storia del musical al cinema

la la land critica

Il musical, genere cinematografico nato con l’avvento del sonoro nel 1927, è quello che più di ogni altro si identifica col cinema in senso stretto; se il cinema è la macchina produttrice di sogni, il musical è il genere che fa dei sogni la propria energia vitale con una sospensione dalla realtà che trascina in mondi eterei e onirici i suoi protagonisti e gli spettatori. In questa sede non faremo una classifica dei migliori musical della storia, ma solo un breve riassunto di questo specifico genere cinematografico dagli esordi fino al clamoroso successo quale è La La Land.

Nel 1927, il cinema cambiò radicalmente aspetto. In quell’anno venne realizzato il primo film sonoro della storia, ovvero Il cantante di jazz di Alan Crosland: essendo il primo film con una pista sonora, la storia non poteva non riguardare un aspirante musicista (celebre la frase: “non avete ancora sentito niente”) ma, in realtà, era la storia del cinema. Era il cinema che raccontava se stesso.

Visto lo straordinario successo – che risollevò le sorti della Warner Bros. – negli anni ’30 ci fu un incredibile numero di musical con sfavillanti scenografie e coreografie perfettamente elaborate. Il nome a cui si riconduce questo periodo del musical è quello di Busby Berkeley che realizzò alcune delle coreografie più belle che si siano mai viste sullo schermo, come ad esempio quelle presenti in La danza delle luci di Mervin LeRoy (1933): sincronismi perfetti dei ballerini e movimenti di macchina sinuosi e liberi da qualsiasi vincolo per catturare ogni momento della danza. Impossibile non citare, poi, la coppia formata da Fred Astaire e Ginger Rogers, protagonista di molti film in cui il duo di attori-ballerini misero in mostra le proprie capacità: il capolavoro resta comunque Cappello a cilindro (1935) di Mark Sandrich.

Il musical ebbe talmente tanto successo che pure Walt Disney ne restò affascinato, tanto da rendere i propri lungometraggi animati degli autentici capolavori con canzoni e scene di danza, a cominciare da Biancaneve e i Sette Nani (1937) fino ad arrivare a Il Libro della Giungla (1967), ultimo film da lui prodotto, passando per Fantasia (1940), atto d’amore animato verso la musica classica in cui le immagini fungono da didascalia alla musica, e non viceversa.

Poi il musical fu applicato anche a storie preesistenti, spesso tratte da romanzi, come il caso di Il mago di Oz (1939) di Victor Fleming, in cui le canzoni non erano svincolate dalla storia narrata ma anzi ne facevano parte integrante (ricordate Over the Rainbow?). Ma l’anno chiave del musical fu il 1952 quando sullo schermo apparve Cantando sotto la pioggia, diretto da Stanley Donen insieme a Gene Kelly, quest’ultimo anche protagonista; anche in questo caso, come in Il cantante di jazz, si tratta di metacinema, poiché viene raccontato il passaggio dal cinema muto a quello sonoro con numeri musicali memorabili citati da molti film successivi.

Altri celebri film musicali del decennio videro la presenza di Kelly, mentre il decennio successivo si aprì con uno dei musical più amati di tutti i tempi, ovvero West Side Story (1961) di Robert Wise, trasposizione cinematografica di un famoso musical di Broadway ambientato nelle strade di New York. Il regista Wise tornò al genere musicale nel 1965 quando diresse Julie Andrews – che aveva vinto da poco l’Oscar per Mary Poppins – in Tutti insieme appassionatamente.

Negli anni ’70, però, la musica stava per cambiare. Sono di questi anni alcuni musical che si staccano dal classicismo degli anni ’30, ’40 e ’50 per virare il genere verso una modalità più seria che guardasse più da vicino la realtà, soprattutto dopo il ’68. Il decennio si aprì con Cabaret (1972) di Bob Fosse, che pure ebbe ancora qualche aggancio al musical classico, mentre film come Jesus Christ Superstar (1973) – tratto dall’omonima rock opera di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice – e The Rocky Horror Picture Show (1975) ricevettero non poche critiche e scatenarono orde di polemiche, vuoi per una rappresentazione in chiave hippy della figura di Gesù, vuoi per una sessualità troppo marcata. Ma divennero tutti dei cult assoluti.

Ma gli anni ’70 furono il decennio della disco music che ebbe il climax assoluto, ma anche il canto del cigno, con La febbre del sabato sera (1977): certo, non un musical vero e proprio, ma un film dove la musica da discoteca rappresentava l’unica via d’uscita dallo squallore quotidiano per un ragazzo italoamericano. Diverso, ma sempre con John Travolta come protagonista, fu Grease (1978), omaggio alla spensieratezza degli anni ’50 in cui i problemi venivano risolti con una canzone o un ballo di gruppo. Il cinema degli anni ’70 fu anche quello che vide la trasposizione al cinema di celebri concept album che hanno fatto la storia del rock, come Tommy (1975) e Pink Floyd – The Wall (1979).

Anni ’80. Il cinema postmoderno stava per esplodere, con i remake rivisitati di film del passato, e il musical non fu esente da ciò. The Blues Brothers (1980) è un limpido esempio di come il musical poteva essere contagiato dallo humour demenziale che stava spopolando in America a quel tempo (complice importante fu il Saturday Night Live).

Negli anni ’90, il musical fu affidato quasi esclusivamente al cinema d’animazione, soprattutto Disney, rinvigorendolo e dotandolo di un notevole ascendente nei confronti di chi andava al cinema per la prima volta in quegli anni: film come La Bella e la Bestia (1990), Aladdin (1992) e Il Gobbo di Notre Dame (1996) sono solo alcuni degli esempi di film d’animazione in cui le canzoni costituivano quasi una storia a sé e motivo di ricordo dei film stessi.

Come sta il musical oggi? Fatta eccezione per l’Oscar come miglior film dato al musical Chicago (2002) e Mamma Mia! (2008), con le canzoni degli ABBA e una trascinante Meryl Streep, sono pressoché nulli gli esempi da ricordare. Ma l’anno scorso, al Festival di Venezia, è arrivato un film che ha cambiato ancora una volta le carte in tavola, dimostrando che il musical, oggi, è ancora possibile.

La La Land di Damien Chazelle è un musical che ha la testa tra le nuvole – memore dunque dei grandi film del passato – ma i piedi ancorati bene a terra, cioè alla realtà. Mia e Sebastian (Emma Stone e Ryan Gosling, che non sono ballerini) sono due persone comuni che si destreggiano tra i propri sogni e la storia d’amore in una Los Angeles dove “si venera tutto e niente ha valore“. Ancora una volta, il cinema racconta se stesso. Cinismo e romanticismo, musical e realismo: queste sono le chiavi per spiegare il successo di questo film. Perché mai come oggi c’è bisogno di andare al cinema…e sognare, ben sapendo che una volta usciti dalla sala il mondo reale è lì ad aspettarci.


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