[Recensione] Silence, il nuovo film di Martin Scorsese

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Silence è il nuovo film di Martin Scorsese, interpretato da Andrew Garfield, Adam Driver, Liam Neeson e Sninya Tsukamoto. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Shusaku Endo pubblicato nel 1966.

La trama

Nel 1633, i giovani preti gesuiti Rodrigues e Garrpe si recano in Giappone per trovare padre Ferreira, loro mentore accusato di apostasia, e per piantare il seme del cristianesimo. Giunti nella terra a loro sconosciuta e inospitale, i due preti vengono accolti in un povero villaggio di giapponesi convertiti alla religione cristiana. Ma presto Rodrigues e Garrpe devono dividere le loro strade a causa dell’inquisitore Inoue Masahige che non risparmia nessun traditore della fede buddista condannandolo alla morte dopo atroci torture. Per i due gesuiti inizia così un travaglio non solo fisico, ma anche spirituale.

Il film

Ventisei anni ha impiegato Scorsese prima di riuscire a trasporre in immagini il romanzo di Endo. Con una sceneggiatura iniziata nel 1990 insieme a Jay Cocks, Scorsese completa la personale trilogia della fede iniziata con L’Ultima tentazione di Cristo (1988) e proseguita con Kundun (1997) raccontando un travaglio che è fisico e al contempo spirituale proseguendo sul tema della religione, filo rosso che unisce tutti i film di Scorsese a partire da Main Streets, e facendo i conti con essa. Quello di Rodrigues e Garrpe è innanzitutto un pellegrinaggio teso a dimostrare la forza della loro fede cristiana in un paese che non tollera altre religioni se non la propria. Ma durante questo pellegrinaggio, i due preti sono testimoni di ciò che la propria religione ha creato in Giappone: cristiani giapponesi costretti a nascondersi e a nascondere il proprio credo per non cadere vittime dell’inquisitore.

Silence, dunque, non è solo un film sulla fede ma è anche un film su ciò che la fede ha come conseguenza e sul silenzio di Dio di fronte alle azioni degli uomini che uccidono, o vengono uccisi, in suo nome e, perciò, su come sia impossibile radicare una religione in un paese così estremo e con una visione del mondo opposta a quella occidentale. Impossibilità che viene rimarcata mediante la metafora del Giappone come una palude che impedisce alle piante di crescere ed estirpa le radici, ma anche attraverso la storia che racconta l’inquisitore a Rodrigues; un uomo con quattro concubine (Spagna, Portogallo, Olanda e Inghilterra) che continuavano a fare chiasso in casa sua e che perciò è stato costretto a cacciarle.

Attraverso il silenzio di Dio si evince anche il parallelismo tra Rodrigues e Gesù: così come Gesù venne trascinato davanti a Ponzio Pilato, così Rodrigues viene portato davanti all’inquisitore e costretto a compiere ciò che compiuto padre Ferreira prima di lui, e così come Gesù venne abbandonato sulla croce, anche Rodrigues viene abbandonato a se stesso con solo la fede come unico appiglio. Ma il silenzio non è solo quello di Dio: il silenzio è anche il suono – o l’assenza di suono – che circonda gli uomini, abbandonati a loro stessi in una natura che assume i connotati di un’entità involontariamente malvagia: i tre membri del villaggio che si sacrificano per salvare Rodrigues e Garrpe vengono legati a una croce in mare finché le onde, sempre più forti, non li sovrastano completamente anche a distanza di giorni. Per rimarcare questo silenzio, Scorsese rinuncia quasi completamente alla colonna sonora lasciando che siano i suoni naturali a creare un tessuto sonoro che avvolge tutto e tutti cosi che lo spettatore venga trascinato in quel mondo e viva in prima persona le vicende di padre Rodrigues e di padre Garrpe. Un naturalismo che viene accentuato dall’ottima fotografia di Rodrigo Prieto, contrappuntando gli ambienti di una luce tenue e soffusa che rende l’atmosfera plumbea; solo nel (bellissimo) finale c’è spazio per il sole e il calore, con tutta la sua portata significativa.

La volontà di Scorsese è potente e si vede come gli stava a cuore questo progetto fortemente cercato e voluto. Non sempre, però, la volontà va di pari passo col risultato e in alcune occasioni si assiste a una certa ridondanza (la sovrimpressione del volto di Rodrigues con quello di Gesù), ma la voce over di Rodrigues, a cui vengono affidati i pensieri del personaggio, rende il film una sorta di confessione assumendo i contorni di una preghiera per immagini. Ma a Scorsese va dato il merito di non aver preso le parti di nessuno, mostrando come ogni religione abbia insiti contraddizioni e problemi, in nome di un relativismo culturale troppo spesso dimenticato.

Evidente, ma casuale vista la lunga gestazione del film, il confronto con l’attualità reale: oggi assistiamo a eventi tragici in cui i cristiani, nei paesi arabi e musulmani, vengono trattati alla stregua dei cristiani in Giappone nel ‘600.

Voto: 8.5


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