[Soldado] La nostra intervista a Stefano Sollima

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Nell’ambito della presentazione stampa di Soldado, il nuovo film diretto da Stefano Sollima, abbiamo avuto modo di partecipare ad una round table col regista. La recensione del film è visibile a questo indirizzo.

Questo è il resoconto dell’incontro, con le nostre domande rivolte al regista romano.


L’intervista


Come è stato il primo approccio a dirigere un film considerando che la prima parte era stata girata da un collega?

Il mondo di riferimento che c’era l’ho cambiato tutto. L’idea era quella di fare un nuovo capitolo all’interno di una saga quindi è un film che si può vedere tranquillamente senza aver visto Sicario. I due film sono legati solo dalla presenza dei due attori principali, anche se non c’é nessun legame, nemmeno di tipo temporale, con l’altro film. Soldado ha una struttura corale e un numero di personaggi ai quali è stato affidato il sentimento del racconto. Sicario è un film molto più delicato del mio e con un punto di vista morale che lo rende meno provocatorio, visivamente più lento e con una costruzione completamente diversa. La cosa che mi ha colpito e che mi è piaciuta del lavoro di Villeneuve è che pur essendo un film di grande intrattenimento aveva anche uno sguardo rivolto a quello che è il nostro mondo, soprattutto rispetto alla tematica della frontiera, che oggi occupa un posto di primo piano nelle notizie di tutti i giorni. Denis Villeneuve è una persona molto carina; nonostante non ci siamo mai incontrati di persona il giorno prima di iniziare le riprese del film mi ha mandato una e-mail meravigliosa.

In altre interviste ha dichiarato di volere provocare con le tematiche proposte. Può parlarci meglio di questo punto?

E’ un film che affronta tematiche complesse ma che cerca di intrattenere il grande pubblico allo stesso tempo. Ad un certo punto, guardando il film si perde qualsiasi riferimento rispetto ai concetti di cosa sia il bene e di cosa sia il male perché tutti i personaggi cambiano continuamente e non sono filtrati dallo sguardo morale mentre la violenza è rappresentata in maniera piuttosto brutale, per quello che è nella realtà. Benicio del Toro, per esempio, all’inizio del film è un uomo che ha quasi perso la sensibilità rispetto a quello che vive, animato solo dal desiderio di vendetta che è stato però annacquato da quello che ha vissuto successivamente. E’ come se la sua vita avesse perso un senso che lui può ritrovare solo cercando di salvare un altro personaggio. Abbiamo cercato di creare un’esperienza destabilizzante dove il confine non sia solo geografico o politico ma anche morale e la domanda che viene posta: “Quanto male si può fare per perseguire il bene?” Non c’è niente che aiuti far digerire quello che accade perché non c’è nessuno che ti guida per mano quando ti siedi in sala.

Può parlarci delle difficoltà ad imporre la propria visione artistica se ci sono state?

Quando ho mostrato la prima versione di ciò che stavamo girando ai miei produttori ho premesso che quello era il mio director’s cut dal quale avevo tagliato 10 minuti di finale previsto in preproduzione. Devo ammettere che ero terrorizzato dal loro giudizio ma in quel momento pensavo: ”Nella peggiore delle ipotesi tornerò a casa perché ho voluto togliere tre scene dal finale” ed è a quel punto che uno dei produttori mi dice: “Non avevo notato la mancanza delle tre scene se non me l’avessi detto”. A quel punto ho capito che avrei potuto rilassarmi. Si trattava di una conclusione sui personaggi che ho tolto perché secondo me non serviva. Se verrà scritto un sequel il prossimo sceneggiatore non sarà legato alla mia visione artistica e molto probabilmente non ci saranno nemmeno gli stessi personaggi che c’erano in questo.

Ogni personaggio ha un cambiamento nel corso del girato: È più difficile relazionarsi con attori già affermati a livello cinematografico oppure è più difficile dare una impronta ad attori esordienti come è stato nel caso di Gomorra?

Gli attori sono tutti uguali, il meccanismo è lo stesso: Tu hai un’idea e se l’ attore che ti trovi davanti sente la chiarezza della tua visione lo stimoli artisticamente, dopo ciò si rilassa e si affida a te perché capisce che sei attento e professionale.

E’ intervenuto nella scelta di tutti gli attori?

Esclusi i I due attori principali tutti gli altri attori sono stati scelti da me.

Avete usato spunti dalla realtà per scrivere la sceneggiatura?

A volte ci sono dei temi che sono nell’aria e capita che si racconti una cosa prima che si palesi, quello che ha fatto Trump di usare l’immigrazione come pretesto di propaganda è un concetto semplice da far passare su Twitter che funziona sempre in campagna elettorale. Il film abbiamo iniziato a scriverlo diversi anni fa quando Trump non esisteva politicamente.

Provenendo da una esperienza italiana come si è rapportato con il cinema americano e quali sono state le differenze che ha trovato?

In Europa il regista ha un controllo creativo molto più forte rispetto agli Stati Uniti dove il sistema è estremamente più complesso e dove il produttore detiene i diritti della proprietà letteraria e dove esistono: uno studio che finanzia il film, gli studios che lo distribuiscono e dove finisci per interagire con un executive che lavora con lo studio e con un distributore estero. E’ un progetto che porti avanti con altre otto persone, di cui due ogni tanto cambiano, quindi in quel contesto è molto più facile perdersi o perdere il proprio tocco artistico che è il motivo stesso per il quale gli studios ti chiamano. Negli Stati Uniti sono bravissimi a riconoscere il talento dei registi ma sono anche bravissimi ad adattarlo per il grande pubblico. Gli studios credono che il pubblico non sia abbastanza evoluto per applicare la propria morale al racconto che ha visto. Non c’è infatti bisogno di spiegare tutto, quindi ti ritrovi a discutere della necessità o meno di aggiungere un passaggio; i film non sono montati sul regista ma sugli attori. È ovvio che il ruolo di regista può essere veramente marginale nel processo creativo e questa è la cosa che mi terrorizzava di più prima di iniziare. Non facendo parte del mondo di Hollywood mi ritengo fortunato ad avere avuto dei produttori illuminati che volevano esattamente quello che potevo offrire in quel momento e che hanno saputo difendere le mie scelte fino all’ultimo. L’altra cosa che ha aiutato molto il film a riscuotere successo sono stati i tester che si occupano di marketing. Se il test di marketing va male ti possono anche togliere di mano il film in fase di lavorazione . Queste situazioni non si possono completamente governare, quindi, posso dire che le circostanze contano molto in questi casi.



Soldado è stato sceneggiato da Taylor Sheridan (autore della sceneggiatura del primo film). E’ stato diretto da Stefano Sollima. Nel cast Benicio Del Toro, Josh Brolin, Isabela Moner, Jeffrey Donovan, David Castaneda, Matthew Modine e Catherine Keener.

Sinossi. Nella guerra alla droga non ci sono regole. La lotta della CIA al narcotraffico fra Messico e Stati Uniti si è inasprita da quando i cartelli della droga hanno iniziato a infiltrare terroristi oltre il confine americano.ù Per combattere i narcos l’agente federale Matt Graver (Josh Brolin) dovrà assoldare il misterioso e impenetrabile Alejandro (Benicio Del Toro), la cui famiglia è stata sterminata da un boss del cartello. Alejandro scatenerà una vera e propria, incontrollabile guerra tra bande in una missione che lo coinvolgerà in modo molto personale.

Soldado approderà nelle sale italiane dal 18 ottobre 2018.




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