Cannes 2022: premi un po’ a tutti, così non va

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Doveva essere l’edizione del rilancio e della qualità dopo quella disastrosa dell’anno scorso. E invece, l’edizione numero 75 del festival di Cannes ha confermato uno sbandamento che comincia con la selezione dei giurati e arriva fino all’assegnazione dei premi. Vediamo perché.

La giuria presieduta dall’attore Vincent Lindon ha conferito il premio più importante a Ruben Östlund e alla sua commedia satirica Triangle of Sadness. Per il regista svedese si tratta della seconda Palma d’oro a cinque anni di distanza da quella vinta per The Square. Un pupillo per Cannes, senza dubbio, ma il suo era veramente il miglior film rispetto a Nostalgia di Martone o a Armageddon of Time di Gray? La critica si è divisa, e sebbene Östlund avesse convinto con i suoi precedenti film, stavolta il suo gruppo di ricchi su uno yacht ha convinto ben pochi.

Premiare un po’ tutti, poi, non significa dare l’esempio di estrema qualità, anzi. Ben due ex aequo: il Grand Prix assegnato a Close di Lukas Dhont (meritatissimo) e a Stars at Noon di Claire Denis (immeritatissimo) e il Premio della Giuria a EO di Skolimowski e a Le otto montagne della coppia Van Groeningen/Vandermeersch sono il sintomo di una mancanza di controllo della giuria e di una visione troppo permissiva da parte dei giurati. Per non parlare del premio speciale per il 75° anniversario creato ad hoc e dato ai fratelli Dardenne per Tori & Lokita, non il loro film migliore.

Sono quindi dieci i film premiati su ventuno totali: un po’ troppi. Per uscire dalla crisi (del cinema, ma anche interna a Cannes) questa non è la via da seguire perché così facendo si rischia la confusione e la messa sullo stesso piano di film che, invece, hanno bisogno di essere differenziati; davvero Close merita lo stesso riconoscimento di Stars at Noon?

Italia a mani vuote, se si escludono Alessandro Borghi e Luca Marinelli protagonisti di Le otto montagne. ma Nostalgia di Mario Martone avrebbe meritato sicuramente di più.

Il rilancio di Cannes è rimandato all’anno prossimo, nella speranza che la giuria venga selezionata con maggior attenzione, magari con un presidente che abbia il polso giusto, che i film in concorso siano davvero film da concorso e che il festival (ri)trovi la stessa forza che negli ultimi anni è stata tutta dalla parte di Venezia. Perché quella di quest’anno rischia di essere ricordata come quella di Tom Cruise e il suo Top Gun: Maverick. Ma così non va.


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