[Recensione] Stranger Things, la nuova serie tv di casa Netflix

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L’ho sempre detto, gli anni ottanta del cinema sono stati un po’ come gli anni sessanta della musica. Un periodo unico. E peccato per chi non c’era, perché non sa cosa si è perso. Ma può farsi un’idea, guardando Stranger Things, la nuova serie di casa Netflix.

La trama, in due parole, ci narra di alcuni eventi accaduti nel 1983 ad Hawkins, piccola cittadina dell’Indiana, dove il giovane Will è l’ennesima vittima di una serie di adolescenti misteriosamente scomparsi. La ricerca, da parte delle forze dell’ordine e della famiglia, rompe la pace quasi pallosa della piccola città facendo emergere allo scoperto forze misteriose e agenzie governative segrete e moralmente dubbie.

Molti sono stati i tentativi di film e serie che, in un modo o in un altro, hanno tentato di riprodurre e riportare sullo schermo le atmosfere degli anni ottanta, come ad esempio Super 8 (J.J. Abrams, 2011), ma spesso con scarsi successi. Stranger Things, invece, riesce alla grande nell’intento, e il suo segreto sta proprio negli ingredienti. Lungo gli otto episodi di questa prima stagione (si parla già di una possibile seconda) troviamo tutto quello che ha caratterizzato l’ultimo decennio analogico della storia, le icone, gli eroi, le atmosfere. I più ingenui penseranno di assistere ad una serie di plagi di grandi film, ma i più accorti leggeranno tra le righe la profondità di questi omaggi a quel grande periodo. Perché di questo si tratta, di dediche mirate a grandi film che, a distanza di trent’anni, tutti conoscono e tutti ricordano.

Ecco quindi che rivediamo inseguimenti tra i “cattivi” del governo e i giovani in fuga sulle loro biciclette in una scena quasi da copia e incolla a quella di E.T. – L’extra-terrestre (Steven Spielberg, 1982). Abbiamo poi l’indimenticabile scena dei ragazzi che camminano lungo i binari, resa celebre da Stand by My – Ricordo di un’estate (Rob Reiner, 1982). Ma questo solo per citarne due, perché non mancano i richiami a Poltergeist (1982), La Storia Infinita (1984), Gremlins (1984) e chi più ne ha, più ne metta. La cosa diventa metadiscorsiva quando sulle pareti delle camere si vedono poster di film come Lo Squalo (1975) o La Cosa (1982).

Le atmosfere, come dicevo, riproducono perfettamente quegli anni (fidatevi, c’ero), ma non solo nei vestiti, nelle automobili e nella tecnologia che ora chiamiamo “vintage”. No, le atmosfere sono rese reali dalla spontanea ingenuità dei loro protagonisti, dalle ore passate assieme a giocare e litigare davanti a se stessi e non davanti ad uno schermo, dai sogni, dall’ottimismo che caratterizzava un periodo che segnava da un lato un boom economico e dall’altro il rischio di una guerra fredda non ancora finita. Nelle case arrivavano i primi videogiochi e i primi videoregistratori, alla Casa Bianca arrivava Ronald Reagan. E se forse è stato proprio il presidente Reagan, ex attore, a fare grande il cinema hollywoodiano di quegli anni, lo stesso di può dire di Stranger Things, resa migliore dalle ottime interpretazioni dei protagonisti.

La madre del ragazzo scomparso, infatti, vede il ritorno di una superlativa Wynona Ryder, brava e donna, non più eterna bambina. Il cattivo del governo vede un altro ritorno atteso da troppo tempo, quello di Matthew Modine, in un ruolo che richiama quello che fu di Peter Coyote in E.T. – L’extra-terrestre. I quattro adolescenti, veri protagonisti della serie, vedono i giovani volti di Finn Wolfhard, Gaten Matarazzo, Caleb McLaughlin e Noah Schnapp. Degna di nota è anche la ragazza che è la chiave dello sviluppo narrativo, interpretata da una coraggiosa Mille Bobby Brown, che i più nostalgici non potranno fare a meno di associare per somiglianza alla Principessa bambina de La Storia Infinita (interpretata nel 1984 dalla israeliana Tami Stronach).

Sebbene non sia coinvolto in nessun modo nella storia o nella produzione, aleggia costante la presenza di Stephen King che i registi della serie, i fratelli Duffer, hanno voluto omaggiare, ispirandosi alle sue storie, alle sue atmosfere, alla sua cittadina immaginaria (che nei romanzi di King risulta sempre essere Castlerock) e ai suoi continui personaggi adolescenti. Il nome di King viene addirittura nominato dai personaggi di Stranger Things e il logo stesso della serie richiama molto quello di Christine – La Macchina Infernale (1983), scritto da King e diretto da John Carpenter.

L’epilogo della storia lascia aperte alcune possibilità per eventuali seconde stagioni. E molti, me incluso, sperano di poter presto fare un nuovo tuffo in quel passato ancora di moda.

Ecco il trailer


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