[Recensione] Inferno, di Ron Howard – Un frullato indigesto di arte, storia e letteratura

Inferno è un film di Ron Howard tratto dall’omonimo romanzo di Dan Brown, interpretato da Tom Hanks,Felicity Jones, Omar Sy, Irrfan Khan, Ben Foster e Sidse Babett Knudsen. Il libro Inferno è il quarto che vede protagonista Robert Langdon, ma il terzo a essere trasposto al cinema: il precedente Il simbolo perduto, infatti, è stato scavalcato proprio da questo.

La trama

Il professore di simbologia Robert Langdon si risveglia in un ospedale di Firenze in preda a un’amnesia che non gli consente di ricordare gli eventi successi nelle precedenti 48 ore. Si rende conto, però, che alcune persone lo vogliono morto per un motivo a lui ignoto. Ad aiutarlo, c’è la dottoressa Sienna Brooks che si lancerà con lui in una corsa contro il tempo per impedire che un virus creato dal bioingegnere miliardario Bertrand Zobrist possa propagarsi e cancellare la quasi totalità della popolazione mondiale, prendendo spunto dall’Inferno di Dante. Sulle tracce di Langdon, però, c’è anche l’O.M.S.: per lui sarà difficile potersi fidare di qualcuno, soprattutto di se stesso.

Il film

Per la terza volta dopo Il Codice Da Vinci e Angeli e Demoni, la coppia Ron Howard/Tom Hanks riporta sullo schermo un romanzo di Dan Brown su una sceneggiatura di David Koepp. Ma quello che doveva essere un thriller al cardiopalma con colpi di scena ed enigmi da svelare si rivela essere un film noioso e prolisso. Il plot tira in ballo Dante Alighieri, Sandro Botticelli, Giorgio Vasari, il doge Enrico Dondolo in un frullato indigesto di arte, storia e letteratura. Ci sarebbe da ridere se non fosse preso tutto sul serio. La verosimiglianza, va da sé, viene fatta cadere subito, ma è impossibile appassionarsi al racconto e alle vicende dei personaggi, sfidando il senso del ridicolo con una sfacciataggine che irrita più che meravigliare.

I personaggi si spostano da Firenze, dove si svolge la maggior parte del film, passando per Venezia fino a Istanbul: ma se gli occhi si meravigliano nel vedere alcuni capolavori architettonici e artistici (Ponte Vecchio, il Salone dei Cinquecento, piazza San Marco ecc.), i paesaggi restano relegati alle solite cartoline turistiche senza essere veri co-protagonisti. La regia di Ron Howard è diligente e un po’ vecchia maniera: steady-cam a non finire e teleobiettivi per le scene di massa, riprese aeree per focalizzare il luogo dove si svolge l’azione. La direzione degli attori, invece, è a briglia sciolta, con Tom Hanks che si aggira più spaesato che mai e con un’espressione enigmatica più del film stesso.

Quella che manca veramente è la suspence: non c’è mai vera tensione e non si avverte mai il senso di pericolo perché i colpi di scena (uno in particolare che non vi sveleremo, ma che si intuisce dopo dieci minuti) sono telefonati con largo anticipo e lo spettatore più accorto mangia la foglia. A differenza dei precedenti film, qui è presente l’ironia, ma il più delle volte gira a vuoto o fa cadere le braccia: “Agli italiani va bene così” dice un personaggio dopo un omicidio ottimamente preparato; “Ha intenzione di creare un bioaerosol (?!)” dice un altro, sfondando così le porte del ridicolo involontario. Pure le didascalie non si sottraggono, e vederne una che reca la scritta “Italo” (il treno voluto da Luca Cordero di Montezemolo) è la goccia che fa traboccare il vaso

Evidentemente, il materiale di Dan Brown meglio si confà alla pagina scritta che alle immagini in movimento, ma punta sempre sui soliti schemi e sui soliti codici: questo può andare bene la prima volta, alla seconda così così, ma alla terza si richiede un po’ più di inventiva. Ormai, prendere spunto da una frase scritta su un dipinto e ricamarci sopra una storia di (troppa) fantasia mescolando arte, storia e letteratura (dimostrando una scelleratezza non comune) non è più sufficiente. Confezione di lusso con la fotografia di Salvatore Totino e la musica (anonima) di Hans Zimmer, ma vuota e ridicola.

Voto: 4.5

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