Il mago del cremlino film 2025 recensione

Venezia 82 | Recensione del film Il Mago del Cremlino

Presentato all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Il Mago del Cremlino diretto da Olivier Assayas presenta un nuovo volto per Jude Law, qui nei panni di Putin. Vi presentiamo la nostra recensione.

Il Mago del Cremlino è stato diretto da Olivier Assayas, il cast è composto da Paul Dano, Alicia Vikander, Tom Sturridge, Will Keen, Jeffrey Wright, e Jude Law. Il film sarà distribuito prossimamente nelle sale italiane da 01 Distribution.

Qual è la trama del film Il Mago del Cremlino?

Russia, primi anni Novanta. L’URSS è crollata. Nel caos di un Paese che cerca di ricostruirsi, Vadim Baranov, un giovane brillante, sta per trovare la propria strada. Prima artista d’avanguardia, poi produttore di reality show, diventa spin doctor di un ex agente del KGB in ascesa: Vladimir Putin.

Immerso nel cuore del sistema, Baranov plasma la nuova Russia, confondendo i confini tra verità e menzogna, credenze e manipolazione. Ma c’è una figura che sfugge al suo controllo: Ksenia, donna libera e inafferrabile, che incarna la possibilità di fuga, lontano da questo gioco pericoloso. Quindici anni dopo, ritiratosi nel silenzio e avvolto nel mistero, Baranov accetta di parlare, rivelando i segreti occulti del regime che ha contribuito a costruire.

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La nostra recensione del film Il Mago del Cremlino

Con Il Mago del Cremlino, Olivier Assayas firma un’opera ambiziosa e stratificata, che non si limita a trasporre il romanzo omonimo di Giuliano da Empoli, ma lo reinventa come un affresco visivo e psicologico sul potere, la manipolazione e il teatro della politica. Il film non è una biografia, né un thriller politico nel senso classico: è una riflessione sul linguaggio del comando, sulla costruzione dell’autorità, e sul ruolo dell’immagine nella società contemporanea.

La vicenda ruota attorno a Vadim Baranov (Paul Dano), ex artista d’avanguardia e produttore televisivo, che diventa il regista occulto dell’ascesa di Vladimir Putin (Jude Law). Attraverso un lungo dialogo con un professore americano (Jeffrey Wright), Baranov ripercorre trent’anni di storia russa, dalla caduta dell’URSS all’annessione della Crimea, in un flusso di ricordi che confonde realtà e messa in scena.

Il film non cerca la cronaca, ma la costruzione del mito: ogni evento è filtrato dallo sguardo di Baranov, che non racconta, ma interpreta, manipola, reinventa.

La regia di Assayas è chirurgica e distaccata. Non c’è enfasi, non c’è retorica: tutto è calibrato, misurato, quasi glaciale. Il ritmo è lento, ma mai statico; il montaggio alterna con precisione flashback e presente, creando una struttura che somiglia più a un saggio visivo che a una narrazione lineare. In questo, il film resta fedele allo spirito del libro, che non è un romanzo d’azione, ma una meditazione sul potere come spettacolo. Assayas non cerca di spiegare Putin, ma di mostrarne la costruzione scenica, il suo essere “personaggio” prima che persona.

La scenografia di François- Renaud Labarthe è sontuosa e inquietante. Gli interni del Cremlino, le dacie, gli studi televisivi, le sale conferenze: ogni spazio è pensato come un palcoscenico, dove il potere si esibisce e si nasconde. I luoghi non sono mai neutri, ma carichi di simbolismo. Le stanze sono fredde, geometriche, dominate da vetri, marmo e luci artificiali. Anche gli spazi privati – camere d’albergo, uffici, salotti – sembrano costruiti per osservare, per controllare, per isolare. La Russia che emerge è un mondo chiuso, claustrofobico, dove ogni gesto è sorvegliato e ogni parola è strategia.

La fotografia di Yorick Le Saux è uno dei punti più alti del film: i toni sono freddi, rigidi, con una luce che scolpisce i volti e accentua la distanza emotiva tra i personaggi. Le inquadrature ampie mostrano il vuoto del potere, mentre i primi piani catturano l’ambiguità degli sguardi. C’è una costante tensione tra visibile e invisibile, tra ciò che viene mostrato e ciò che viene nascosto.

La macchina da presa non cerca la verità, ma la superficie: è lì che si gioca la partita del potere. Le interpretazioni sono straordinarie.

Paul Dano costruisce un Vadim Baranov enigmatico e sfuggente, un uomo che ha rinunciato a se stesso per diventare l’architetto dell’immagine altrui. La sua recitazione è fatta di sottrazione: pochi gesti, voce bassa, sguardo che osserva più che agisce. È un personaggio che vive nell’ombra, ma che domina la scena.

Jude Law, nel ruolo di Putin, è inquietante e misurato. Non cerca la somiglianza fisica, ma la presenza: postura rigida, sorriso trattenuto, occhi che non tradiscono nulla. Il suo Putin è un uomo che odia parlare, ma che sa come farsi ascoltare. Alicia Vikander, nei panni di Ksenia, è l’unico personaggio che sfugge al controllo: libera, emotiva, imprevedibile. È il contraltare umano in un mondo disumanizzato.

Il Mago del Cremlino è un film che si muove tra le pieghe del potere, dove ogni parola è calcolata e ogni gesto è un messaggio. Olivier Assayas non si limita a tradurre il romanzo di Giuliano da Empoli, ma insieme a Emmanuel Carrère lo trasforma in un dispositivo cinematografico che riflette sul ruolo dell’immagine, della narrazione e della manipolazione nella politica contemporanea. Il risultato è un’opera che respira con lentezza, che osserva più di quanto racconti, e che lascia lo spettatore in uno stato di inquietudine lucida.

Il film non si chiude con una morale, ma con un senso di vuoto che è tutt’altro che passivo: è il vuoto del potere, della verità, dell’identità. I personaggi non evolvono, ma si consumano. E proprio in questa corrosione silenziosa sta la forza del film.

Il Mago del Cremlino non è un’opera che si guarda per capire, ma per sentire il peso di ciò che resta quando il sipario del potere cala e dietro non c’è più il volto, ma solo la maschera.

Classificazione: 3.5 su 5.
Venezia 82 | Recensione del film Il Mago del Cremlino
il mago del cremlino film 2025

Regista: Olivier Assayas

Data di creazione: 2025-10-18 12:18

Valutazione dell'editor
3.5

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