L’ultimo Capodanno: Recensione del film di Marco Risi

L'ultimo Capodanno Recensione

Per la rubrica Cult Classics abbiamo visto L’ultimo Capodanno, film datato 1998 diretto da Marco Risi. Questa è la recensione.

In un complesso residenziale romano, si consumano le vicende di sventurati inquilini intenti a festeggiare il capodanno.

Giulia (Monica Bellucci), venuta a conoscenza del tradimento del marito (Marco Giallini), organizza un cenone con amici fingendosi ignara dell’infedeltà del consorte. Guidata dalla voce della madre, architetta un piano per vendicarsi.

Cristiano (Claudio Santamaria) è chiuso in camera sua da Natale e la madre non sa più come aiutarlo. Arriva in suo soccorso un amico, il classico fattone anni ’90 da centro sociale (a proposito, che fine hanno fatto i centri sociali?), con la geniale idea che sniffare colla possa rappresentare la svolta della serata.

Tre ladri tentano di svaligiare casa di un avvocato (Alessandro Haber) e lo colgono in balia dei suoi ardori sadomaso, in compagnia di una mistress che gli piscia addosso. Non male come ricatto verso un padre di famiglia che aveva raccontato alla moglie di essere al lavoro.

C’è la classica famiglia con una moglie depressa, un marito appassionato di macchine d’epoca, un nonno arzillo che spia col binocolo la dirimpettaia bona, un figlio vergine che sembra trovare pace ai suoi istinti sessuali regalando dei fanali nuovi per la macchina del padre e una figlia di cui non trovo il senso di parlare.

Un’anziana contessa (Maria Monti) organizza un veglione nel suo fastoso appartamento in compagnia di un giovane Gigolò, il ‘napoletano’ Beppe Fiorello, perseguitato da un passato cafone da cui prova invano a fuggire.

Infine, una donna che tenta di togliersi la vita con un mix di sostanze, perché provata dall’assenza di un marito disperso da dieci anni in Cambogia, rappresenta la nota più lieta. Lieta finché non andrà incontro a varie peripezie, sebbene sia difficile credere che un suicidio possa avere complicazioni.

La più classica delle festività si trasforma nella notte del giudizio, una bomba a orologeria da cui o fuggi o muori.

Un microcosmo borghese e scellerato da cui non si riesce ad uscire e, perciò, non è casuale la distruzione dell’auto d’epoca da parte di una banda di tifosi, il cui massimo esponente è rappresentato dal Mastino di Dio, un Adriano Pappalardo il cui copione è composto al 95% da versi animaleschi. Microcosmo in cui faticano ad entrare anche i ladri, uno dei quali, rivolgendosi all’avvocato masochista, gli dice: ”Noi saremo pure ladri, ma tu fai schifo”.

La televisione è un elemento ricorrente nella vita dei protagonisti: programmi demenziali, che ricordano quelli guardati dalla madre di Jared Leto in Requiem for a Dream, ci rimandano alla critica, molto anni ’90, verso l’anestesia cerebrale a cui questo genere di tv porterebbe.

Nota non trascurabile, il discorso dei tre rapinatori sulle olive ascolane è un cult che merita rispetto.

Marco Risi rinnova di vent’anni I nuovi mostri portati sul grande schermo da papà Dino, riprendendo lo stile cupo dei Parenti Serpenti del 1992 di Mario Monicelli.

Purtroppo, non è bastato il nudo della Bellucci a dare risalto ad un film che ha compiuto un piccolo miracolo, spingendo il grottesco oltre i suoi limiti, al punto da allargarne i confini senza trascendere in un trash fine a sé stesso.

Classificazione: 3 su 5.


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