RoFF17: Life is (Not) a Game, recensione del docufilm di Antonio Valerio Spera

Life is (not) a game recensione

E’ stato presentato oggi alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione Freestyle, il docufilm Life Is (Not) A Game del regista Antonio Valerio Spera con protagonista la Street Artist LAIKA. Questa la recensione.

“Era al di là di quello schermo d’umori volatili che il suo sguardo voleva giungere: la forma delle cose si distingue meglio in lontananza.”

“Le città invisibili” – Italo Calvino

Gli ultimi due anni di storia scorrono sullo schermo, raccontati con gli occhi e la maschera di Laika. La Street Artist capitolina provoca e colpisce con le sue opere ed installazioni. La sua denuncia di un sistema e di un mondo che non salvaguarda i deboli ci farà riflettere sul nostro stile di vita.

Con il dilagare del Virus, Laika si ritrova a fare il conto con un diverso modo di fare denuncia, costretta ad abbandonare i muri della città per un diverso utilizzo dei social. Con la fine del lockdown, ma con il Covid-19 sempre in agguato, Laika intraprende un viaggio attraverso la “rotta balcanica” per dare voce e volto al mondo degli “invisibili”, fino a portarci alle porte del conflitto ucraino.

Commento

L’esordiente Antonio Valerio Spera confeziona un docufilm di ottimo livello. Mai noioso, mai scontato, Spera scandisce il tempo attraverso i murales e le azioni di Laika. L’attacchina – come ama definirsi la Street Artist – offre il proprio punto di vista sul mondo contemporaneo. La pellicola è, più che un convenzionale approccio al mondo dell’arte, uno spaccato di vita senza filtri sulla quotidianità di chi, in questi ultimi anni, ha attraversato sofferenze ed è stato spesso vittima di razzismo più o meno evidente. Vediamo così apparire sullo schermo le vicende di Zaki e Regeni, l’ingiustificata paura verso la Cina ad inizio pandemia, la difficile condizione della donna e tanto altro. Laika non mostra mai il suo volto e questo anonimato l’ha resa da subito un fenomeno mediatico, per molti paragonato a Bansky.

Life Is (Not) A Game ha un ottimo ritmo narrativo cadenzato anche dalle immagini amatoriali riprese dalla stessa Laika che scandiscono anche l’evoluzione dell’artista in questo biennio. Bello il movimento con la macchina da presa che segue l’artista durante i suoi blitz notturni, raccontando di una città ed i suoi cambiamenti prima, durante e dopo la pandemia.

Bella la fusione tra le immagini di repertorio e quelle del reportage in Bosnia. Le interviste alla gente comune, presentata con tanto di didascalia, così come avviene per i volti noti presenti nel documentario, fa si che i “cosiddetti invisibili” abbiano ancora più voce e siano ricordati a prescindere dall’esito delle loro vicissitudini.

Il film deve il titolo alle opere, ed ai manifesti realizzati da Laika nei Balcani: il “Game” è, infatti, il nome dato dai profughi al tentativo di attraversare il confine con la Croazia. Ricche di significato sono anche le parentesi presenti nel titolo. Esse, infatti, evocano ed analizzano la doppia anima dell’artista, sempre in bilico tra ironia ed impegno sociale.

La forza di Life Is (Not) A Game è nella scelta del regista di mettere il racconto degli eventi in primo piano, dando loro il maggior risalto possibile. È il messaggio, infatti, che deve essere veicolato e non il modo in cui lo si trasmette. Bellissima e coinvolgente, inoltre, la colonna sonora che accompagna le gesta della street artist, lasciando spazio, però, ai suoni ed ai rumori della quotidianità.

Realizzato in coproduzione fra la Morel Film e la Salon Indien Films, il film Life is (Not) a Game ha debuttato oggi 17 ottobre alla Festa del Cinema di Roma.

Life is (Not) a Game
life is not a game recensione scaled

Regista: Antonio Valerio Spera

Data di creazione: 2022-10-17 23:53

Valutazione dell'editor
3.5

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