La Recensione di Koyaanisqatsi, il documentario di Godfrey Reggio

1 ora e 27 minuti senza alcun dialogo! Le brutte notizie si dicono all’inizio, giusto? Scherzi a parte, non lasciatevi scoraggiare dall’apparenza perchè Koyaanisqatsi (dalla lingua Hopi “vita senza equilibrio”) ha un ritmo incalzante! Questa è la nostra recensione.

Sei sono stati gli anni necessari al regista Godfrey Reggio e al direttore della fotografia Ron Fricke per ultimare un autentico capolavoro visivo e di montaggio, a cui è inscindibilmente legata la musica minimalista di Philip Glass, la quale ci fa da Caronte in un viaggio extrasensoriale nello sviluppo della società odierna.

Sebbene sembri estremamente complicato tracciarne una trama, Koyaanisqatsi apre il proprio cerchio con ritratti primitivi, seguiti da splendidi panorami a sottolineare la bellezza di Madre Natura. L’inutilizzo, all’epoca, di droni a scopo cinematografico, rende ancora più affascinante l’immersione in paesaggi incontaminati attraverso riprese mozzafiato.  L’alternanza di slow motion e time lapse conduce verso il mondo urbano, sovraffollato di vacuità e distruzione, contorno perfetto per un popolo anestetizzato.

Primo film della trilogia Qatsi, completata con Powaqqatsi e Naqoyqatsi, il documentario Koyaanisqatsi attirò l’attenzione di Francis Ford Coppola, il quale nel 1982 decise di sponsorizzare il film al grande pubblico, per sua stessa ammissione “importante da vedere per la gente”.

Non è un film che si presenta accessibile a tutti, ma la difficoltà sta nell’iniziarlo; superato questo ostacolo, la visione di Koyaanisqatsi lascia a bocca aperta e ha la capacità di poter modificare la prospettiva di chiunque abbia la sensibilità di migliorare sé stesso. Tutti i film ci cambiano un po’ la vita, ma Koyaanisqatsi rischia davvero di stravolgercela.

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