La Recensione di Insidious: L’ultima Chiave, l’horror di Adam Robitel

Abbiamo visto in anteprima Insidious: L’ultima Chiave (Insidious – The Last Key), il quarto capitolo della nota saga horror creata da James Wan, e questa è la nostra recensione.

Insidious: L’ultima Chiave si presenta su due diversi piani temporali di narrazione. Si inizia nel 1953, dove troviamo una giovane Elise Rainer (Ava Kolker) acerba e spaventata dal suo “dono” e da un padre che non accetta che la figlia possa vedere i fantasmi, sottoponendola a punizioni di ogni genere pur di farle ammettere di inventarsi le cose. La piccola è supportata solo dalla mamma Aubrey (Tessa Ferrer) e con le sue visioni tende a spaventare il fratello più piccolo Christian al quale la madre affiderà un fischietto, che il bambino dovrà suonare in caso di pericolo, permettendo alla stessa Aubrey di raggiungerlo in qualsiasi momento.

La narrazione degli eventi di quel periodo si mischia con le visioni oniriche dell’ormai matura Elise (Lin Shaye) e il film procede ai nostri giorni, dove ritroviamo la sensitiva supportata dai due collaboratori Tucker (Angus Sampson) e Specs (Leigh Whannell). In Insidious: L’ultima Chiave questi due personaggi, con le loro battute, permettono di allentare la tensione che gli eventi e le improvvise apparizioni creano nello spettatore. Una nota di ironia che non guasta.

Elise, suo malgrado, si ritrova a dover ritornare nella casa in cui sono iniziate le sue visioni – nei pressi della prigione in New Mexico, dove lavorava il padre – per rendersi poi conto di dover affrontare i mostri incontrati da bambina per poter chiudere il cerchio. Le porte rosse saranno ancora una volta i varchi dimensionali fra il nostro mondo e quello abitato dagli spiriti, fra cui si annida il pericoloso uomo con le chiavi.

Il film vive di diversi colpi di scena e di riferimenti al primo episodio che in alcuni casi stuzzicheranno la fantasia dello spettatore. Il regista Adam Robitel ha scelto di tenere alta la tensione anche grazie ai rumori prodotti dai veicoli che appaiono nel film. I motori hanno infatti un emissione sonora ben superiore a quella che normalmente ci si aspetterebbe.

La pellicola supera l’esame e riesce a tenere con il fiato sospeso fino alla conclusione.

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