La recensione di Veloce come il vento – Auto da corsa e fragilità umane per il ritorno del cinema di genere

Veloce come il vento è il titolo del terzo film di Matteo Rovere che vede protagonisti Stefano Accorsi e Matilda De Angelis, ispirato a eventi realmente accaduti.

La trama

Giulia De Martino, 17 anni, corre nel campionato italiano GT. Durante una gara, il padre ha un infarto e muore. La ragazza si trova così sola insieme al fratellino Nico, ma al funerale del genitore spunta Loris, il fratello maggiore che se n’era andato dieci anni prima. L’uomo, che una volta era un abilissimo pilota di rally, ora è tossicodipendente e con la compagna decide di vivere nella casa dove vivono Giulia e Nico. I due accettano malvolentieri perché altrimenti dovrebbero ricorrere all’assistenza sociale.

La situazione è delicata perché se Giulia non dovesse vincere il campionato, il produttore Minotti si prenderebbe la loro casa come risarcimento per i debiti contratti dal padre. Nonostante la diffidenza nei confronti di Loris, Giulia lo assume come allenatore facendo leva sulla sua esperienza e abilità con le auto. Ma il carattere di Loris, soprattutto a causa della droga che assume, renderà complicato il rapporto e metterà in seria difficoltà la vita di Giulia e di Nico.

Il film

Insieme a Filippo Gravino e Francesca Manieri, Rovere (al suo terzo film dopo gli insipidi Un gioco da ragazze e Gli sfiorati) sceneggia un film che vuole tornare al cinema di genere che era in voga negli anni Settanta, quello che ultimamente l’Italia ha perso a favore di film più intellettuali e d’autore come quelli di Sorrentino e Garrone. Il film, però, non si limita a questo; esso, infatti, è innanzitutto una storia vera, ispirandosi alla vita del pilota Carlo Capone che, dopo aver ottenuto successi nel rally, declinò proprio a causa di droghe e sostanze stupefacenti.

Così, Rovere confeziona un film che è al contempo un appassionato affresco sul mondo delle corse, regalando allo spettatore dosi di adrenalina nelle scene in questione (peraltro ben dirette ancorchè inusuali nel nostro cinema) ma anche un ritratto sui rapporti disfunzionali all’interno di una famiglia e le fragilità umane che la contraddistinguono. Accorsi (da applausi), emaciato e dimagrito, mette anima e corpo in un personaggio che di positivo sembra non avere nulla, tanto è inaffidabile e precario nella sua condizione (mal)esistenziale, ma che si rivela l’unica via per uscire da una situazione che si fa sempre più delicata. In lui si incarna la capacità, nascosta però dall’incapacità di uscire dal limbo in cui si ritrova, mentre in Giulia si incarna la volontà di riuscire, nascosta invece dal peso istituzionale che deve portarsi sulle spalle.

Proprio l’interpretazione di Accorsi, però, rischia di mettere in ombra quella della De Angelis, qui al suo esordio, relegandola a una figura che funge più da motore per le azioni del fratello che vero e proprio fulcro attorno a cui dovrebbe ruotare il film. Se, infatti, le scene che hanno Loris come personaggio principale riescono a far immedesimare lo spettatore e farlo entrare completamente nella storia, quelle con Giulia e Nico sembrano non avere il fuoco necessario per emergere, e questo per colpa anche di una regia non sempre attenta a cogliere le emozioni e le espressioni che gli attori mettono in campo. Nel finale, poi, il film sembra prendere una piega eccessivamente melodrammatica come se l’intenzione vera e propria fosse strappare le lacrime a ogni costo, dimenticandosi invece che sono scene come quella del dialogo tra Loris e Giulia dopo che quest’ultima torna da una festa a mostrare i sentimenti umani e la loro più assoluta sincerità e commozione.

Detto ciò, pur non essendo scevro da difetti, il film riesce nell’arduo compito di coinvolgere sia gli appassionati di motori e automobobilismo, che troveranno pane per i loro denti con primissimi piani di motori e altre parti meccaniche, sia chi è in cerca di una storia che vuole indagare i rapporti famigliari a un tempo fragili ma inevitabilmente attaccati che, nel bene e nel male, tengono unita una famiglia. Il cinema di genere ritorna adornato da ciò che il cinema italiano degli ultimi anni sa fare meglio.

Voto: 7

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