Intervista a Victor Perez, VFX per il sequel di Il Ragazzo Invisibile

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Victor Perez è un genio! Un fiume in piena di parole, idee, proposte, progetti e tanto altro. Victor Perez, malgrado la giovane età, è stato molte cose: regista, sceneggiatore, produttore, attore e esperto di effetti speciali.

Nell’ultima edizione della View Conference, abbiamo avuto il piacere di incontrare questo artista a tutto tondo, che qui, principalmente, ha presentato il panel su Il ragazzo invisibile: seconda generazione, il prossimo film di Gabriele Salvatores, seguito del successo del 2014.

Inoltre, Victor Perez ha collaborato anche in Il cavaliere oscuro, Harry Potter e i doni della morte, Pirati dei caraibi – Oltre i confini del mare, Rogue One: a Star Wars story e tantissimi altri successi.

Victor ci ha concesso una intervista-fiume con altre testate, qui in testa troverete le risposte concesse a Universal Movies.


Ci racconti qualcosa su Another love, il tuo primo corto che ha avuto un grosso successo e che ha vinto numerosi premi nei festival mondiali?

“Non voglio spoilerare nulla, ma quel corto nasce nella mia testa quando facevo l’attore…”

Infatti, tu hai fatto anche l’attore, hai un curriculum incredibile. Tant’è che, quando ho letto tutto ciò che hai fatto nella tua vita, sono andato a vedere il tuo anno di nascita e non potevo credere che tu fossi più giovane di me…

[ride] Ho iniziato da molto giovane, ho sempre voluto raccontare storie, l’idea di essere regista è nata in età più matura. Abitavo in campagna e, da piccolo, immaginavo tanto, ma ho anche sempre pensato che non ero pronto, a livello di maturità, sul racconto e non avevo storie da raccontare. Ho riflettuto molto guardando il film Loving Vincent, poichè Van Gogh rappresentava la prima cosa che vedeva e la sua genialità non era nel soggetto ma nell’atto di dipingere, di raccontare. Con lo stesso pensiero, anni fa, mi sono detto che non dovevo, per forza, raccontare una grande storia universale che deve sistemare il mondo, basta anche un piccolo racconto basato sull’esperienza e Another love è stato un film intimo, un racconto piccolo, che non narra di esperienze che io ho vissuto in prima persona, ma dell’Amore, che è un sentimento universale, raccontato da un altro punto di vista, che in questo caso è quello dell’Antagonista. Non avevo bisogno di effetti, e questo mi attraeva molto perchè, avendolo fatto subito dopo i film di Batman e Harry Potter, volevo fare un film diverso, non il classico cortometraggio che ci si aspetta da un artista di visual effects. Ho usato gli effetti solo per quello che mi servivano, solo per tre inquadrature, che mi son serviti per rinforzare l’idea che volevo dare, ma sono invisibili. Hanno collaborato tantissimi amici e senza Another love non avrei mai potuto sviluppare Echo, il secondo cortometraggio. Another love è un dramma di venti minuti, incentrato principalmente su camera e attori. Siamo stati in 60 festival cinematografici, era molto soddisfacente artisticamente essere nella sala col pubblico e vedere la gente piangere. Far piangere le persone, farle commuovere, quella è la vera magia. Chiunque si dedica al cinema sa che non si deve lavorare solo per il glamour.”

Nei tuoi prossimi progetti sei quasi sempre collegato con un uomo italiano, Carlo Liberatori, e vedo che collaborerete molto insieme…

Carlo è uno sceneggiatore, abbiamo studiato insieme all’Accademia dell’Immagine, fondata da Vittorio Storaro, e ci siamo conosciuti lì. Carlo mi piace molto perchè è l’antitesi mia, a me piace molto la spettacolarità, l’epica, il grande e lui è proprio il mio contrario, ama l’intimo, il microscopico, il dettaglio…

Avete tanti progetti in cantiere…

“Abbiamo sviluppato molti progetti. Di lui, mi piace molto che mi sconvolge, perchè se io lavorassi da solo finirei per lavorare per la Marvel, perchè alla fine a me piace il tamarro interno…”

Ma è vero che, a un certo punto, avevi deciso di abbandonare gli FX e hai cambiato idea proprio per il film di Salvatores?

“No, diciamo che quello che ho fatto è stato non dargli preferenza, per cui quello che faccio ora è trovare dei progetti che mi possano permettere di continuare il mio sviluppo. In questi giorni, per esempio, sto finendo di scrivere il mio lungometraggio e per fare quello, avevo bisogno di lavorare in progetti che avessero meno necessità della mia presenza fisica, quindi sto cercando di portare avanti diversi aspetti della mia carriera, anche paralleli tra loro. Adesso devo centrarmi un po’ di più su questo lungometraggio mettendo da parte altre cose…”

Cosa farai da grande?

“Non lo so, mio padre mi diceva che se volevo fare un lavoro rispettabile dovevo fare l’idraulico, ma non lo so…”

Tu vivi ancora in Italia?

“Io ho vissuto a L’Aquila, mia moglie è di lì, fino alla famosa notte del terremoto che su di me ha avuto un forte impatto, anche artistico e inconscio. Se tu, oggi, mi chiedi del terremoto, per me è stata un’esperienza positiva, so che suona strano, ma mi ha dato quel calcio nel culo che mi ha permesso di fare tutto quello che ho fatto e che prima non facevo per paura di perdere delle cose. Se non hai crisi, non c’è crescita, come puoi raccontare qualcosa, e con ogni crescita, lasci dei pezzi per strada…”

E adesso dove vivi?

“Adesso sono a Londra, ma stiamo considerando molto seriamente l’idea di tornare in Italia, perchè lavorando per Salvatores, sono stato in Italia per lunghi periodi e mi sono reso conto che il cielo è azzurro di nuovo, non come a Londra che è sempre grigio. A me piace molto Londra perchè, a livello professionale, ti fa crescere poichè c’è tutto, è una città professionalmente edonistica, c’è tutto e immediatamente, ma ti stacca un po’ dalla famiglia e dalle cose più autentiche. Io ho un figlio di 5 anni e mezzo e, da quando sono qui, lui ha riscoperto i nonni, siamo tornati a L’Aquila, nella nostra casa ricostruita. Io sono nato in campagna e amo questo aspetto della zona de L’Aquila, molto vicino alla natura, quindi credo che rimarremo qui.”

E allora bentornato in Italia e grazie per la tua disponibilità.

“Grazie a voi di Universal Movies!”

Inoltre Victor Perez ha raccontato che il lavoro del regista e quello del supervisore degli effetti speciali possono essere una conseguenza, un percorso preciso, il regista è quello che propone il suo punto di vista, cosa guarda nel mondo, tenendo conto che, se alla base non vi è una storia da raccontare, non c’è nulla. Il punto più importante, quindi, è raccontare una storia, il punto di vista del regista è rilevante, ma la storia è la base di un progetto. Ha anche detto che vorrebbe vedere un suo lungometraggio finito, dopo aver messo tanto nel calderone, un giorno, quando sarà grande, vorrebbe vedere qualcosa di suo e di compiuto.

Ha fatto un parallelismo interessante tra i film western di John Ford e i seguenti wester, anche più poveri ma ricchi di idee e molto di impatto, di Sergio Leone, con le produzioni ricche della Marvel e Il ragazzo invisibile di Salvatores, sicuramente più povero nel budget ma ricco di trovate e di originalità.

Inoltre, per lui, siamo in un interessante periodo storico poichè trova che i film odierni dei supereroi stanno tutti, sostanzialmente, raccontando la stessa storia, come avvenne per i western negli anni ’60 o per la nascita della Nouvelle Vague. Ciò, secondo Perez, porterà a una crisi del genere e alla nascita di nuovi prodotti, ricchissimi di contenuti e di idee, magari più poveri di soldi, ma innovativi. Victor è molto curioso di vedere cosa verrà dopo!

Victor Perez ci ha raccontato, lavorando in Italia, di sentirsi scomodo e un alieno: questo perchè in Italia non c’è la cultura degli effetti speciali, soprattutto, qui da noi, l’intervento del supervisore degli effetti è solo in post-produzione, cioè al termine delle riprese, mentre negli States il VFX è parte integrante del progetto già dal principio, è presente sul set e partecipa a quasi tutti gli incontri decisionali. Egli ha preso tutto con molta filosofia e tanta pazienza, ma sente di essersi integrato e accettato dal team. Gabriele Salvatores è una persona curiosa e ha avuto profondo rispetto per il suo lavoro di VFX.

Inoltre, per lui, qui in Italia c’è un po’ la cultura del “abbiamo sempre fatto così e ha funzionato…”, come anche la difficoltà degli europei a condividere le innovazioni raggiunte, rispetto agli americani che sono molto più aperti nel condividere il sapere. Ci vuole un terreno più fertile e più coltivabile. Per Il ragazzo invisibile, Victor ha sperimentato delle grosse novità nel cinema italiano, con inquadrature audaci e riprese impossibili.


Victor Perez è un fiume in piena di idee e proposte, un diluvio di parole e di talento e vi invitiamo a ricordavi il suo nome perchè avra sicuramente successo. Tanti auguri, Victor!

Ecco il suo TED da Vicenza.

 


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