Diretta da Peter Berg e scritta da Mark L. Smith (già co-autore della sceneggiatura di “Revenant – Redivivo”, pellicola che ha permesso a Leonardo DiCaprio di ottenere la tanto agognata statuetta come miglior attore protagonista), “American Primeval” è una serie western in sei episodi distribuita in streaming attraverso la piattaforma Netflix a partire dal 9 gennaio 2025.
Utah, 1857. Una donna e suo figlio cercano una guida per muoversi lungo gli impervi e inospitali territori del west. Ad aiutarli sarà Isaac, profondo conoscitore della natura dai modi taciturni e dal passato ombroso. Al contempo, gruppi appartenenti alla Chiesa di Gesù Cristo e dei Santi degli Ultimi Giorni e ai nativi americani, nonché alle milizie territoriali, si contendono il dominio su lande e pianure dove la legge e lo stato faticano ad arrivare.
I sei episodi che compongono “American Primeval”, che sarebbe più corretto definire miniserie anziché serie e il cui minutaggio per puntata varia dai 35 ai 60 minuti circa, partono dalla ricostruzione di avvenimenti storici (la guerra dello Utah e il massacro di Mountain Meadows) che hanno rappresentato una tappa fondamentale per la costruzione dell’America come oggi la conosciamo, ma non si limita solo a questo.
Con American Primeval siamo di fronte a un prodotto complesso, articolato, mastodontico, ambizioso. Berg e Smith, corroborati da un reparto tecnico di prim’ordine e da un cast in stato di grazia, descrivono un west freddo, cupo, grigio tanto nell’estetica quanto nei personaggi: nessuno di essi è identificabile come buono o come cattivo. Non ci sono protagonisti o antagonisti, né eroi o villain, ci sono gli esseri umani con le loro storie, con le loro ambizioni, con i loro amori, con le loro scelte e paure, e con le loro contraddizioni.
La trasposizione dei pionieri, così come dei mormoni o dei nativi, sfugge ai cliché e al simbolismo. Lo spettatore si trova così catapultato in un coacervo di situazioni la cui complessità rispecchia l’amalgama truculento su cui è stato edificato l’impero americano. Alla violenza e alla crudeltà visiva (alcune scene sono veramente difficili da digerire) non c’è contraltare: la natura è ostile, l’altro è ostile, il cielo è ostile. L’unico passaggio che racconta qualcosa di diverso è quello che fa capolino al quinto episodio e che contrappone parole ottimistiche a immagini di distruzione e massacro. E in quella sequenza ch’è racchiusa la potenza dell’intera serie, la forza di una narrazione contraddittoria in cui – finalmente – il non detto, al netto di alcuni passaggi, domina sull’esplicito e in cui non viene dato spazio agli spiegoni o alla retorica.
L’unico elemento che potrebbe far storcere il naso in American Primeval è l’utilizzo reiterato del grandangolo, sì giustificato dalla volontà di accentuare il senso di straniamento e di alienazione dei personaggi, ma che tal volta incide su un’estetica solenne, potente, tetra. Un alba (quella dell’America) che sembra più un’escatologia e che non può non far pensare alla letteratura di Cormac McCarthy (“Meridiano di sangue” su tutti) e al concetto di destrutturazione del mito del Vecchio West.
Sì, perché come già aveva fatto (secondo il parere di chi scrive) il già citato “Revenant – Redivivo”, “American Primeval” lavora sulla rottura del leggendario. Dalla messa in scena dei momenti tragici. rapidi cruenti privi di lirismo, sino all’enfatizzazione esasperata dei principi archetipici di alcuni personaggi.
American Primeval è una serie che sta, inspiegabilmente, passando in sordina. O che, forse, sta passando in sordina proprio perché difficile, sanguigna, stratificata. Una grande epopea, o almeno siamo da quelle parti.
American Primeval | Recensione della mini-serie Netflix

Regista: Peter Berg
Data di creazione: 2025-01-12 17:31
4.5
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