Venezia 73 – La recensione di I Magnifici 7, di Antoine Fuqua

i magnifici sette foto

I Magnifici Sette è il film (fuori concorso) di Antoine Fuqua scelto come film di chiusura della 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il remake del celebre film di John Sturges è interpretato da Denzel Washington, Chris Pratt, Ethan Hawke, Vincent D’Onofrio Peter Sarsgaard.

La trama

Quando la sonnacchiosa città di Rose Creek si ritrova sotto il tallone di ferro del magnate Bartholomew Bogue, per trovare protezione i cittadini disperati, capeggiati da Emma Cullen, assoldano sette fuorilegge, cacciatori di taglie, giocatori d’azzardo e sicari: Sam Chisolm, Josh Farraday, Goodnight Robicheaux, Jack Horne, Billy Rocks, Vasquez e Red Harvest. Mentre preparano la città per la violenta resa dei conti che sanno essere imminente, i sette mercenari si scoprono a lottare per qualcosa che va oltre il denaro.

Il film

Al contempo film di chiusura a Venezia e film di apertura al Toronto Film Festival, I Magnifici Sette di Antoine Fuqua si propone di rileggere con una maggiore modernità, per non dire con gusto postmoderno, il celebre western diretto da John Sturges, a sua volta remake del capolavoro di Akira Kurosawa I Sette Samurai.

Su una sceneggiatura di Nic Pizzolatto (creatore e sceneggiatore di True Detective) e Richard Wenk, Fuqua realizza un film di uomini duri richiamando tutto quel cinema western del tempo che fu aggiornandolo con ritmi e gusti adatti al 2016. Il risultato non si discosta molto dall’operazione compiuta dai Fratelli Coen con il remake de Il Grinta, con qualche dovuta differenza: Fuqua punta tutto sui sensi dello spettatore, frastornandolo con sparatorie da ogni dove e con cavalcate riprese con carrellate fulminee. Intorno, si dipana una storia che vede contrapposto il mondo quasi rurale di Rose Creek con quello del business capeggiato da Bogue, affarista senza scrupoli.

E la pecca del film sta proprio qui: per tutta la durata si avverte una visione del mondo troppo manichea in cui i buoni sono nettamente distinti dai cattivi, dove l’onore deve vincere (o così ci si aspetta) sulla vigliaccheria e dove la bontà d’animo sovrasta la sete di denaro. Questa visione, applicata al genere western, poteva avere successo all’epoca del cinema classico hollywoodiano, ma oggi si chiede qualche approfondimento in più, non si dice socio-psicologico, ma almeno nei contenuti: il cattivo è troppo cattivo (Sarsgaard, visto anche in Jackie, sembra provenire da un film Disney) mentre i buoni, che all’inizio non lo sono poi tanto, compiono un viaggio che diventa un viaggio interiore alla ricerca di una redenzione.

Sfugge, dunque, il senso di tutta l’operazione: è sufficiente riprendere un vecchio soggetto e un vecchio genere cinematografico per compiacere il pubblico di oggi? Forse, vista la moda dei remake applicata a Hollywood, ma non abbastanza. Poi, in aggiunta, si può discutere se un film così sia abbastanza valido da chiudere un festival come Venezia, ma questo è un altro discorso.

Il film, comunque, è girato con dovuta perizia e gli attori sembrano divertirsi nei panni di fuorilegge e compagnia varia; gli appassionati di western possono ritrovare in certe scene il respiro epico dei classici, gli altri potrebbero trovare un discreto esempio d’intrattenimento che in ogni caso resta alto, grazie anche a certe dosi di ironia. Ma nulla più di questo.

Ultima colonna sonora composta da James Horner prima della prematura scomparsa.

Voto: 6

 


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